Intervento a cura di Anna Palermo, specialista in Medicina Interna e Cardiologia, che ha maturato una significativa esperienza professionale presso l’Ospedale Sacco e gli Istituti Clinici di Perfezionamento.
Dopo il Master in Economia e Gestione dei Servizi Sanitari, ha svolto incarichi di Quality Manager e Risk Manager in Aziende Ospedaliere Universitarie. È componente del Comitato Scientifico del Fondo Sanitario.
Alcuni farmaci possono essere dannosi per le ossa e causare osteoporosi secondaria, un fenomeno che può interessare non solo donne in post menopausa e soggetti anziani, ma anche il sesso maschile e soggetti giovani.
I glucocorticoidi, meglio noti come cortisonici, sono la classe di farmaci che più di ogni altra può causare osteoporosi. Pur essendo farmaci di grandissima importanza ed efficacia per il loro prezioso effetto antinfiammatorio, è dimostrato che interagiscono con il metabolismo osseo in vari modi, sia diretti che indiretti.
L’esposizione prolungata a concentrazioni sovra-fisiologiche di glucocorticoidi, infatti, da un lato inibisce l’attivazione degli osteoblasti, le cellule deputate alla formazione di nuovo tessuto osseo, dall’altro favorisce l’attivazione degli osteoclasti, cioè delle cellule che determinano la distruzione dell’osso. Ciò comporta un eccesso di riassorbimento del tessuto osseo e ad un aumento della fragilità e del rischio fratture.
I cortisonici, inoltre, riducono l’assorbimento intestinale di calcio e ne aumentano l’escrezione a livello urinario. Infine interferiscono con la produzione del tessuto osseo così come si verifica nelle donne nella fase post meno-pausale, poiché inibiscono la normale secrezione degli ormoni sessuali.
L’entità della perdita ossea e i rischi di frattura causati da questi farmaci non sono però repentini. Dipendono principalmente dalla dose e dalla durata della terapia, ma sono anche influenzati dallo stato di salute di un paziente. Per esempio, gli effetti osteoporotici della terapia con cortisone risultano particolarmente gravi in pazienti affetti da artrite reumatoide.
Tradotto in cifre, gli studi dimostrano che nei primi 6-12 mesi di terapia cortisonica si può osservare una diminuzione della densità ossea pari al 15%. In seguito, per ogni anno di terapia, può persistere una perdita ossea pari al 3-5%. Inoltre, fratture ossee si verificano nel 30-50% dei pazienti in terapia cronica con cortisonici.
Prima di avviare una terapia cortisonica cronica è dunque importante valutare attentamente il paziente e il suo rischio di fratture. Esistono inoltre terapie protettive e preventive a base di calcio e di vitamina D e di farmaci anti-riassorbitivi come i bifosfonati, i cui effetti positivi sono ben documentati, soprattutto nei casi di pazienti molto giovani.
Va inoltre sottolineato che alla sospensione del trattamento coi cortisonici la situazione clinica si normalizza, per cui sia la riduzione della massa ossea (BMD – Bone Mass Density – Densità minerale ossea) che il rischio di frattura tendono a regredire.